Lo spread non ha smesso di correre, anzi proprio ieri è volato ai massimi da cinque anni, sopra 320 punti base. E a questo punto una ripercussione sulle bollette di luce e gas è quasi scontata, con un possibile aggravio di quasi mezzo miliardo di euro l’anno in totale.
L’Arera (Autorità per l’energia, le reti e l’ambiente) ha avviato la procedura per rivedere i parametri che risentono del “rischio Paese” e dunque anche del crescente differenziale tra il rendimento dei BTP e dei Bund tedeschi decennali.
Così l’aumento dello spread farà rincarare le bollette di luce e gas
Secondo simulazioni effettuate dal Ref – e il risultato finale potrebbe essere un aumento delle tariffe dell’energia di circa 460 milioni di euro l’anno a partire dal 2019, cifra elevata nel complesso, ma che «per le famiglie in realtà si tradurrebbe al massimo solo in un paio di euro in più all’anno sull’energia elettrica», precisa Claudia Checchi, partner della società di ricerca e consulenza.
Nello specifico, l’aumento atteso è di 80 centesimi al Megawattora per l’elettricità e 5 cents ogni 100 metri cubi per il il gas.
Poca cosa, in fondo. Ma il rincaro si aggiungerebbe a quelli, pesantissimi che abbiamo già subito – e che potremmo continuare a subire – per colpa del rally dei prezzi delle materie prime, che incidono molto di più sul costo finale della bolletta.
Così il robot trader mette le mani anche sulla bolletta
Inoltre nel 2019 ci toccherà anche il recupero degli oneri di sistema arretrati: circa un miliardo di euro (destinati a finanziare tra l’altro anche gli impianti a rinnovabili) che non sono stati riscossi nel terzo e quarto trimestre di quest’anno perché l’Arera, proprio per attutire i rincari delle materie prime, ha congelato gli aumenti di ogni altra voce in bolletta, ma che quasi certamente dovremo versare l’anno prossimo, come ha anticipato il neo presidente dell’Authority, Stefano Besseghini in una recente audizione al Senato.
Il rischio che la salita dello spread finisse col penalizzare il sistema Italia anche attraverso il canale dell’energia era stato anticipato dal Sole 24 Ore a fine agosto. Ora siamo al dunque. Con la delibera 498/2018, pubblicata la settimana scorsa, l’Arera ha aperto il procedimento per la revisione del livello di remunerazione degli investimenti delle società energetiche che gestiscono servizi regolati.
L’aggiornamento, che avviene ogni tre anni, riguarda il cosiddetto Wacc (Weighted average cost of capital) che viene poi moltiplicato per il Rab (Regulatory asset base o Capitale investito regolatorio), in modo da determinare quanto spetti a ciascuna impresa: non certo una regalia, ma denaro che ripaga infrastrutture che servono alla collettività, nel caso dell’energia opere come le reti elettriche, gli stoccaggi di metano o i gasdotti.
In bolletta la somma finisce alla voce «Spese per il trasporto e la gestione del contatore», che attualmente pesa per il 17,78% del totale, contro il 54,60% del costo materia prima (oneri e imposte fanno il resto, col 14,82% e il 12,8% rispettivamente).
L’adeguamento del Wacc avviene secondo formule di calcolo complesse. È su queste che gli analisti del Ref–E hanno lavorato, concludendo che il Wacc stesso dovrebbe aumentare in media dello 0,55%. Il rialzo dipende esclusivamente dallo spread, che per l’Italia aumenta il rischio Paese (Crp) all’1,42%, dall’1% del triennio 2016-2018. «Se il Crp non fosse rivisto il Wacc diminuirebbe», afferma l’analisi Ref-E, citata da Staffetta Quotidiana.
«Si può notare come la correzione dei parametri fiscali e dell’inflazione attesa a parità Crp riducano, sia pure di poco, il Wacc».
«La nostra però è solo una simulazione – sottolinea Claudia Checchi, intervistata dal Sole 24 Ore – È un esercizio che isola l’effetto spread in un contesto complesso. E comunque a decidere non è solo la matematica, l’Autorità un po’ di discrezionalità per intervenire ce l’ha».
Anche in questo caso, in pratica, l’Arera potrebbe trovare il sistema per compensare gli extra costi, agendo su altre leve. Ma è una sfida impegnativa, perché si rischia di compromettere la reddività degli investimenti nel settore energetico. Con lo spread a questi livelli «fare qualcosa sarà difficile», ammette Checchi. «Porterebbe a non rispecchiare i costi effettivi per le imprese».